L’attuale Parlamento è “certamente” legittimato ad eleggere il nuovo Capo dello Stato, nonostante l’approvazione della riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, né la circostanza che il centrodestra governi in 15 Regioni su 20 impone al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere per ristabilire un legame tra eletti ed elettori. Lo sottolinea, in un’intervista all’Adnkronos, il professor Sabino Cassese.
Alla luce dell’approvazione della legge sulla riduzione del numero dei parlamentari, l’attuale Parlamento è legittimato per procedere all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica? “Certamente sì, non solo -spiega Cassese- perché la legge sottoposta al referendum produce i suoi risultati dalla prossima elezione, ma anche perché questo Parlamento è più ampio di quello che seguirà, e quindi, non è meno legittimato di quello che seguirà”.
Come replicare a chi sostiene che con 15 Regioni governate dal centrodestra, il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le Camere per ristabilire un legame tra elettori ed eletti? “Quando molte Regioni erano nelle mani del centrosinistra e il governo nazionale del centrodestra -replica Cassese- si pensava che il Parlamento nazionale dovesse esser sciolto?”.
“Se è eletto Presidente un repubblicano, in America, le Camere a maggioranza democratica vengono sciolte? E accade lo stesso -argomenta ancora Cassese- quando gli Stati sono in maggioranza in mano a un partito e il Congresso nazionale in mano a un altro partito? Voglio dire che gli ordinamenti moderni prevedono plurime democrazie e gli elettorati possono scegliere di votare in modo diverso per le rappresentanze regionali e locali, e per quelle nazionali. Si chiama ‘divided powers’, è il pluralismo democratico, che fa parte dei contrappesi delle moderne democrazie”.
Dopo l’approvazione della legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, la riforma “più urgente” da realizzare è quella relativa al numero dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato. Quindi occorrerà approvare una nuova legge elettorale, modificare i regolamenti parlamentari e la norma costituzionale sull’elezione dei senatori su base regionale, spiega.
Quali sono le riforme istituzionali ora necessarie per evitare che la riduzione del numero dei parlamentari resti fine a se stessa o addirittura si riveli dannosa? “La riforma dell’articolo 83 della Costituzione, che prevede -ricorda Cassese- la presenza di tre delegati per ogni regione, salvo la Valle d’Aosta, per la elezione del Presidente della Repubblica, è quella più urgente per mantenere l’equilibrio stabilito nella Costituzione. Ci sono poi: l’articolo 57 della Costituzione, relativo alla elezione dei senatori su base regionale; la legge elettorale (ma questa è materia di legislazione ordinaria) e gli ordinamenti interni delle Camere (questa è materia di regolamenti parlamentari). Compito non facile, specialmente per le riforme costituzionali”.
Per questo Cassese ritiene “certamente auspicabile” che si realizzi un ampio consenso per la realizzazione di queste riforme, “ma legato alla capacità aggregativa dell’attuale maggioranza, già debole al suo interno”.
La proposta di modifica della legge elettorale in discussione alla Camera va accompagnata con l’introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva per assicurare stabilità al sistema. E’ inoltre necessario garantire un ordinamento democratico all’interno dei partiti o reintrodurre le ” vituperate preferenze”, sottolinea ancora.
“La proposta Brescia -spiega- contiene una formula proporzionale, con soglia alta di accesso e diritto di tribuna (qualche seggio alle forze più piccole). Se si aggiungesse la sfiducia costruttiva, già praticata, ma non sempre, ci si orienterebbe verso una democrazia proporzionalistica forse sufficientemente stabile. Meglio sarebbe un sistema a doppio turno, che darebbe due possibilità di selezione, ma appare formula per ora utopistica, considerate le preferenze attuali”.
“Infine, occorre -conclude Cassese- o assicurare con legge un ordinamento democratico interno ai partiti, oppure ripristinare le vituperate preferenze”.