Puoti: “Su numero record di morti serve una riflessione seria” 

“E’ indubbio che Covid-19 è stata una tragedia sotto tanti punti di vista, sia nella prima che nella seconda ondata, che il numero dei morti è stato molto alto, e questo ci richiede una riflessione seria”. E’ la visione di Massimo Puoti, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Niguarda di Milano, nel giorno in cui i dati dell’andamento della pandemia in Italia segnano un doloroso record, proprio alla voce dei decessi: 993 morti, più di quelli registrati nel giorno più buio della prima ondata (969 morti il 27 marzo, 919 tolti i 50 decessi risalenti a giorni precedenti e contabilizzati nel totale di quella data).  

Cosa ha complicato la risposta alla pandemia in Italia? “Abbiamo un sistema sanitario nazionale che in virtù dei tagli che si sono susseguiti negli anni ha lavorato facendo le nozze con i fichi secchi. Forse quello che è venuto a galla da questa emergenza è che lavoravamo al limite – spiega lo specialista all’Adnkronos Salute – Ognuno poi ha fatto le sue scelte e c’è chi per mantenere un sistema ospedaliero degno di questo nome ha tagliato il tagliabile. Sicuramente la medicina territoriale e la prevenzione sono finite in basso nella lista delle priorità su cui investire”. 

“E’ stato chiesto perché in 6 mesi, finita la prima emergenza, non ci si sia organizzati. Ma non si considera che un anestesista, un medico di pronto soccorso, un infettivologo ci vogliono anni a formarlo”, osserva Puoti. Senza considerare le ‘uscite’: “Molti specialisti formati in Italia se ne sono andati all’estero. Non gli abbiamo dato carriere attraenti e un 10-20% ci ha lasciato. C’è quindi anche la fuga dei cervelli che ha un peso. Certe restrizioni le paghiamo, abbiamo tirato troppo”. Quanto ai morti, “forse dovremo indagare se c’è anche una base genetica. Per esempio anche guardando altre etnie come è possibile che i peruviani paghino un prezzo enorme alla malattia e altri no?”.  

“Altro punto: ha un peso l’età della popolazione, il numero di pazienti cronici, ma basta a spiegare questa differenza dell’Italia in termini di perdite?”, sai chiede l’infettivologo. “Mi viene in mente la lapide di El Alamein: ‘Mancò la fortuna, ma non il valore’ – ragiona Puoti – Ad El Alamein forse mancò non la fortuna, ma i rifornimenti o armi degne. I nostri zii e nonni si buttavano sotto carri armati e sicuramente abbiamo avuto eroi”. Ma Puoti rifiuta questa retorica dell’eroe che ha accompagnato la pandemia. “C’è stato un impegno immenso da parte dei medici e degli infermieri. Ma la mancata programmazione, un piano pandemico inadeguato, un Ssn che lavorava al limite, sono tutti aspetti che forse vanno valutati in questo quadro. Sicuramente è emerso che non abbiamo una riserva organizzativa tale per reggere la pressione di un numero elevato di casi con questo tipo di patologia”. Insomma, conclude l’esperto, “a tante legittime domande non si potrà rispondere adesso, non certo con un dibattito in Tv. Serviranno studi e analisi tecniche. Ma senza dubbio questa tragedia ha messo in evidenza problemi su cui riflettere. E spero non si perda questa occasione”. 

Sotto quale soglia l’epidemia di Covid-19 può dirsi sotto controllo? I tecnici lo ripetono a ogni aggiornamento: “L’unico modo per ridurre drasticamente i casi è avere un indice di contagio Rt sotto l’1. Sopra l’1 anche di poco è un Rt che porta a un aumento di casi”. O ancora: “una percentuale di tamponi positivi sopra il 10% è una soglia abbastanza critica”. “Il discorso è questo – spiega all’Adnkronos Salute – gli ospedali tuttora stanno lavorando con un assetto che non è quello normale, la sanità è ancora sotto stress, si danno meno cure” e pagano sono “soprattutto i pazienti no Covid”. “Invito dunque le persone a cercare di mantenere i risultati ottenuti con lo sforzo e i sacrifici di tutti”, è il monito dell’esperto che chiarisce il perché occorre tenere ancora alta l’attenzione sulle regole auree anti-contagio, soprattutto durante le Feste di Natale, evitando di disperdere sotto l’albero e sotto il vischio i dati in discesa che stiamo vedendo in questi giorni. “Calano i ricoveri, calano i posti occupati in terapia intensiva”, ma “abbiamo ancora un numero importante di reparti trasformati in reparti Covid e rianimazioni dedicate a malati Covid”.”Il sistema sanitario è ancora sotto grosso stress e, se ci dovesse essere un aumento successivo di casi di Sars-Cov-2, la durata dello stravolgimento del sistema ospedaliero porterebbe a prolungare una situazione in cui si danno meno cure in elezione a chi ne ha bisogno e più persone subiscono le conseguenze, soprattutto i pazienti che non hanno Covid”. Occorre quindi “cercare di mantenere la riduzione delle curva ottenuta con le misure rigide applicate finora”. Come? Non abbassando la guardia in famiglia. 

 

“Distanziamento, lavaggio delle mani e mascherine – elenca l’esperto – Ed evitare di azzerare le distanze con persone con cui abitualmente non si convive. Vanno ridotti al minimo i contatti senza misure di precauzione. Meglio quindi non essere troppi e troppo vicini per la cena di Natale e attenzione in particolare agli anziani. Sappiamo già tutto, ormai. Non c’è altro da aggiungere”. Solo, è la riflessione, non è tempo ancora di rilassarci: “La criticità che abbiamo oggi è che permane tuttora lo stravolgimento della normale situazione sanitaria. In alcuni ospedali particolarmente affollati non trovano risposta i pazienti con altre patologie, non si riesce a dare loro cure ottimali”. 

“Cercare di mantenere la situazione” di curva in calo “aiuta gli ospedali a tornare alla normalità per tutte le patologie, si può tornare a fare gli interventi in elezione anche per altre patologie importanti. Mettiamoci nei panni di una persona con un tumore che si vede costretta ad aspettare un mese per trovare una risposta a un problema magari non urgente, ma comunque rilevante per la sua condizione”, osserva Puoti che invita ad aver fiducia nelle indicazioni che arrivano dal Comitato tecnico scientifico (Cts). “Fermare gli spostamenti sotto Feste, togliere i nonni ai nipoti sono scelte dolorose. Io sento che dobbiamo affidarci agli esperti. Sono i nostri Anthony Fauci (l’infettivologo della task force Usa contro Covid, ndr), hanno qualità scientifiche di alto livello, capacità di lettura dei lavori scientifici, polso della situazione. Seguiamoli”.  

Del resto, “le zone rosse sembrano aver funzionato, l’attuale sistema di colori a fasce di rischio, innestato su misure differenziate e graduali che ha portato a un migliore controllo della curva epidemia e subito a non avere un ulteriore incremento esponenziale dopo ottobre. C’è stata una buona risposta e un buon lavoro di tutti. E non sono da trascurare gli effetti collaterali di un lockdown duro”. Ora, conclude, “si tratta di consolidare i risultati e non disperderli, per arrivare fino allo smaltimento di tutti i casi accumulati. Noi al Niguarda siamo riusciti in questa ondata a tenere gli ambulatori aperti e abbiamo cercato di mantenere il più possibile i livelli di attività e i programmi fatti, cercando di adattarci”. La missione è scongiurare quel pericoloso effetto a catena che si innesca “quando si hanno tutti i posti in terapia intensiva occupati, i medici degli altri reparti in prima linea per Covid, i cardiologi impegnati con i malati Covid e non con i pazienti cardiovascolari e così via. Certo, paghiamo anni di tagli che hanno portato il Ssn a lavorare al limite”. 

 

 

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