La perdita dell’olfatto si è rivelata essere uno tra i diversi sintomi di Covid-19. Ignorato all’inizio della malattia, ormai è stato accertato in diversi paesi colpiti dal coronavirus e potrebbe essere spiegato con la capacità del virus di infettare il sistema nervoso centrale dei malati, in particolare nella zona del cervello deputata alle funzioni olfattive. Questa ipotesi è contenuta in due articoli scientifici, il primo, pubblicato da ricercatori cinesi sul ‘Journal of Clinical Virology’ ha analizzato i dati ottenuti nel tempo su coronavirus diversi da Sars-CoV-2; il secondo, pubblicato quasi contemporaneamente sul ‘Chemical Neuroscience’, propone meccanismi d’azione in grado di spiegare questa potenziale facoltà del virus di infettare il sistema nervoso centrale.
ll team guidato da Yan-Chao Li dell’Università di Jilin, in Cina, ha analizzato campioni prelevati nei primi anni 2000 su vittime di Sars-CoV-1, coronavirus ‘cugino’ di quello attuale. Questi campioni, spiegano gli autori, “hanno mostrato la presenza di particelle del virus nel cervello, trovate quasi esclusivamente nei neuroni”.
Altri studi, condotti su topi transgenici, modificati per essere sensibili ai coronavirus che colpiscono l’uomo, hanno mostrato che il Sars-CoV-1 o il Mers-CoV (virus responsabile di un’epidemia che colpito il Medio Oriente nel 2012) “possono penetrare nel cervello, probabilmente attraverso i nervi olfattivi, e propagarsi rapidamente ad alcune zone specifiche del cervello, in particolare talamo e corteccia cerebrale”.
“L’articolo del team cinese è molto interessante perché si basa su osservazioni cliniche, interpretate usando una sintesi di ciò che sappiamo sui coronavirus”, ha spiegato la biologa Christine Prat, del consorzio europeo Virus Archive Global. “Tuttavia, resta ancora molto da capire sull’impatto che alcuni virus possono avere sul sistema nervoso centrale, che è un’area molto particolare: il sistema immunitario infatti non può ‘lavorare’ lì come nel resto dell’organismo perché deve combattere contro l’infezione evitando di distruggere le cellule neuronali, che non si rinnovano da sole o lo fanno molto poco”.