«Il Recovery plan è assimilabile a un piano strategico, e in pochi mesi abbiamo dovuto accelerare e allineare tanti progetti e tante tecnologie, selezionando soprattutto quelle mature, con un impatto reale sulla decarbonizzazione. Gli investimenti fatti in nuove tecnologie negli ultimi anni e la nostra capacità di calcolo ci hanno aiutato nell’accelerare questi processi”. A sottolinearlo in un’intervista al Corriere della Sera è l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. “Anche il Recovery plan a livello nazionale comporta un’accelerazione, una composizione e integrazione di diversi progetti fatti da differenti società, che vanno realizzate rapidamente. Teniamo conto- spiega – che a un’azienda per realizzare un piano strategico, e il Recovery è un piano strategico nazionale, servono mesi. Se non anni»
Alla domanda se l’Italia è arrivata preparata al recovery fund, “penso – risponde Descalzi – che le diverse componenti dell’industria italiana siano pronte, ma il tutto va aggregato in un piano nazionale, e per come sta lavorando il governo sono ottimista. Per quanto ci riguarda, abbiamo lavorato sei anni per costruire tecnologie in grado di ridurre la componente di CO2 in tutte le nostre operazioni, per trasformare parte del nostro business, investendo oltre quattro miliardi di euro. Dunque vediamo un percorso fatto da progetti maturi che si completano e che ci porteranno a una neutralità carbonica in Europa rispettando l’obiettivo del 2050. Alcuni prodotti decarbonizzati non hanno ancora mercato, non hanno domanda. Il Recovery fund è una parte dell’equazione. Poi però bisogna capire di quali incentivi avranno bisogno i prodotti decarbonizzati che ne deriveranno».
“Abbiamo visto quanti incentivi sono stati giustamente dedicati alle rinnovabili, ma – prosegue l’ad di Eni – quale scarsa penetrazione hanno avuto in proporzione e come hanno impattato il mercato dell’energia. Tutto ciò implica che nel coordinare i diversi progetti si debba avere un forte e competente centro di coordinamento, un’amministrazione efficace, le migliori teste che abbiano esperienza di mercato, di prodotti, di tecnologie e d’innovazione. Saranno loro a dire quali progetti dovranno entrare, con l’obiettivo di soddisfare non solo i criteri d’innovazione, ma anche di sostenibilità economica, sicurezza energetica e impatto ambientale. Si dovrà trovare un giusto equilibrio fra il sussidio che premia la penetrazione di nuovi prodotti rispettando il principio del mercato della domanda e dell’offerta”.
“Senza una programmazione che tenga conto delle complessità, è difficile che gli obiettivi possano essere raggiunti. Possono essere enunciati, non raggiunti. Eni gli obiettivi europei al 2030 può centrarli perché ha costruito prima gli strumenti per farlo. E l’Italia è su un percorso che le permetterà di raggiungere questi obiettivi. In generale, non dico che siano irrealizzabili e l’emergenza del clima giustifica obiettivi sfidanti. Ma il tempo e la rapidità che si chiedono a tutti i settori hanno un costo”.
Per Descalzi, “realizzare questi progetti significa investire, sussidiare, supportare: se per esempio gli impianti energivori devono andare a idrogeno, vanno aiutati a cambiare i processi produttivi. È un mosaico. Va bene porre obiettivi, ma un obiettivo senza una costruzione analitica sottostante diventa un’aspirazione”.
Sono quattro le aree di intervento indicate dall’Eni al Governo sul fronte del recovery fund. “Ho indicato – dice Dscalzi – quattro aree. C’è una parte che riguarda la cattura di CO2, per dare continuità alle infrastrutture e salvaguardare l’economia e l’occupazione in Italia. Tra queste ci sono il sequestro di CO2 in giacimenti esauriti, la sua mineralizzazione, la biofissazione dalle microalghe e altre tecnologie mature. Inoltre c’è un’area sulla mobilità: Hvo-biodiesel e bio jet, alimentazione elettrica, a idrogeno e sostituzione del gas con biogas. Investiremo 350 milioni di euro, potenzialmente anche dal Recovery fund, per rifare in questo senso le stazioni di servizio. Infine ci sono la crescita delle rinnovabili su terreni nostri e di Cdp, una tecnologia sviluppata con il Politecnico di Torino per produrre energia dal moto ondoso e tutto il capitolo riguardante l’economia circolare”.
Quanto può venire dal Recovery fund? “Parliamo di investimenti di miliardi. L’obiettivo di queste quattro aree è ridurre le emissioni di 6,5 milioni di tonnellate l’anno. E nei sei anni di sviluppo dei progetti, solo nell’indotto e nell’impatto indiretto, creeremmo – sottolinea Descalzi – fra 70 mila e 100 mila nuovi posti di lavoro all’anno”.
Sulla possibilità di impegnare con efficacia e in tempi stretti gli 80 miliardi dei fondi europei per l’Italia che vanno al Green New Deal, “la sfida è questa. La prima – sottolinea Descalzi – per la verità è ottenere i fondi, poi averli in tempi utili. Ma credo che l’Italia abbia un tempo sufficiente per organizzarsi e definire i processi che permetteranno di metterli a terra. Da ciò che vedo parlando con tutte le componenti del governo, c’è la massima attenzione e focalizzazione. Tutto dipende dall’organizzazione. Credo che si vogliano evitare lungaggini burocratiche o procedure amministrative eccessive, lecite e comprensibili in una situazione ordinaria ma non in un momento critico come questo». Un commissario aiuterebbe? «Le persone sono importanti, se sono in gamba, ma ci vuole una forte organizzazione: persone con competenze diverse nei settori dove si investe, e un follow up continuo su progetti, tempi e costi. Molto potrebbe essere lasciato alle società che li sviluppano, abituate a confrontarsi con il mercato e con progetti complessi”.