Il 2019 si era chiuso con un problema nettamente preponderante in ambito infettivologico: l’antibiotico-resistenza. È di fatto una pandemia silente e poco conosciuta, ma colpisce ospedali e territorio. Si stima che nel mondo, nel 2050, le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando ampiamente i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni) con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari. La pandemia ha lasciato in ombra questa come altre tematiche, ma la resistenza dei batteri agli antibiotici non è passata in secondo piano, anzi, proprio il Covid, per vari fattori, a partire dal sovraffollamento degli ospedali, ha provocato un aumento della circolazione dei germi resistenti. Questo uno dei temi centrali del XIX congresso della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
“Durante la pandemia abbiamo notato un aumento di germi multiresistenti soprattutto nei pazienti ricoverati nelle terapie intensive – sottolinea Pierluigi Viale, Direttore Uo Irccs Policlinico Sant’Orsola, di Bologna, e presidente del congresso Simit -. Questo incremento ci riporta alla tematica più urgente dell’infettivologia prima della pandemia, i batteri multiresistenti”.
“In Europa – ricorda – vi sono quasi 700mila casi di infezioni di germi multiresistenti ogni anno, con oltre 33mila decessi; una quota rilevante, pari a circa 10-11mila casi avviene in Italia. Il nostro è tra i Paesi in cui il fenomeno è più acuto: una spiegazione razionale risiede nel fatto che il nostro Ssn è tra i più etici al mondo, senza rinunciare mai a dare una chance a ogni paziente, sebbene ciò implichi un costo in termini di elevata ospedalizzazione e di complicanze infettive. In altri termini – ha riassunto – possiamo dire che le resistenze dei germi sono un effetto collaterale di un sistema efficiente”.
L’impegno da parte degli infettivologi per fronteggiare questa emergenza già dilagante – riferisce una nota – è dunque massimo. “Il Piano nazionale per la lotta all’antibiotico-resistenza prevede che il sistema sanitario lavori applicando i principi di infection control e di antimicrobial stewardship, ormai condivisi in tutto il mondo, al fine di ridurre l’incidenza di infezioni correlate alla assistenza e di migliorare le strategie di utilizzo degli antibiotici”, evidenzia Francesco Cristini, direttore Uo Malattie infettive Ospedale di Rimini e Forlì/Cesena, Ausl Romagna e presidente del XIX congresso Simit.
“L’antimicrobico-resistenza – prosegue – si combatte utilizzando gli antibiotici in modo corretto e prevenendo le infezioni. Per fare prevenzione si deve partire dalle più elementari buone pratiche assistenziali, come il lavaggio delle mani, visto che le infezioni correlate alla assistenza sono il prototipo delle malattie da contatto. I pazienti ricoverati – aggiunge – sono portatori di batteri anche multiresistenti e la continua assistenza che ricevono dai sanitari può diventare veicolo nello spostamento dei germi: il lavaggio delle mani diventa così una barriera nel trasporto dei batteri multiresistenti, che possono provocare infezioni soprattutto sui pazienti più fragili”.
“Poi c’è il versante farmacologico: più antibiotici si usano, più i batteri acquisiscono resistenza, per questo – ammonisce – bisogna usarli quando realmente c’è bisogno, ossia quando un’infezione batterica è accertata o clinicamente sospetta, e non come pratica di medicina difensiva. Il tema dell’abuso di antibiotici emerge ogni anno con l’epidemia invernale di influenza e si è proposto anche quest’anno per la Covid-19, che sono infezioni virali e per le quali gli antibiotici non servono in prima battuta, ma solo in pazienti ben selezionati che possono avere una infezione batterica, anche sospetta, concomitante. Gli antibiotici devono poi essere usati con durate di trattamento e dosaggi adeguati, evitando sproporzioni rispetto alle reali necessità”, conclude.