Un grande patto per l’Italia, una nuova alleanza tra imprese, sindacati e governo, con cui mettere a punto una strategia comune che sfrutti le risorse del Recovery Fund, metta mano alle riforme e rilanci l’economia del Paese. E’ questo l’invito, pressante, che il neo leader di Confindustria, Carlo Bonomi lancia al governo Conte, nuovamente e ufficialmente oggi dal palco della assemblea degli imprenditori. Una strategia fatta di “scelte, anche controvento”, e di “coraggio del futuro” che traccino “una rotta precisa per un approdo sicuro” con “un quadro netto e chiaro, di poche decisive priorità su cui riorientare la crescita del Paese e strumenti fini per indirizzare la politica economica e industriale dell’Italia”.
Perché, ammonisce ancora Bonomi, “non possiamo attendere oltre per invertire una deriva, e l’occasione della ripresa dopo l’irruzione della pandemia, non può essere sprecata”. E rivolto al premier, Giuseppe Conte, seduto in prima fila, ricorda che sul Recovery: “se si fallisce, nei pochi mesi ormai che ci separano dalla definizione delle misure da presentare in Europa, non va a casa solo lei. Andiamo a casa tutti perché il danno per il Paese sarebbe immenso. Non ce lo possiamo permettere. E’ tempo di azione comune, oppure non sarà un’azione efficace” .
Ed il governo raccoglie la richiesta ed apre alle motivazioni di Confindustria: una apertura “molto forte”, la definisce lo stesso Bonomi “che non avevamo ancora registrato fino a oggi, segno evidente che quello che dicevano da mesi era la strada corretta, lo vedremo comunque nei fatti”, spiega.
Ma gli imprenditori non si illudono anche se coltivano l’ottimismo :”da troppi anni in Italia manca una visione alta e lungimirante” dice ancora Bonomi ricordando le oltre 500 proposte avanzate tra governo e Regioni che messe insieme “fanno un multiplo di 3 o 4 volte i 208 miliardi del Recovery”, ironizza. Bisogna dunque, “concentrarli investendo sui maggiori nodi irrisolti ,quelli la cui soluzione può sprigionare in tempi brevi il maggiore rapporto di crescita del Pil potenziale più imprese, più lavoro”, prosegue Bonomi guardando a imprese 4.0, di fatto cancellato dal governo, ma anche alla riforma del fisco, agli investimenti, alla riforma delle pensioni e ad una contrattazione che non passi per un salario minimo per legge ma dia spazio alla produttività.
In questo, dice, serve “una visione in cui lo Stato svolga un ruolo da regolatore” senza “statalizzazioni esplicite o velate”. Ma per arrivare a questo “le ambiguità della politica non devono aggiungere ulteriore incertezza e sfiducia nel Paese”. La situazione economica d’altra parte è drammatica, a fine anno potrebbero saltare fino a 1 milione di posti di lavoro, 600mila già sono svaniti: l’ottimismo dunque di un recupero entro due anni del livello pre covid “sembrerebbe in larga misura fuori luogo a meno di un forte impulso agli investimenti”, elenca Bonomi che nel quadro inserisce anche il Mes. “Nell’entusiasmo per i 208 milioni che ci vengono dall’Europa, e che si aggiungono al Sure e alle nuove linee di credito Bei, tende a svanire l’attenzione sul danno certo per il Paese se il Governo rinuncia a Mes sanitario privo di condizionalità” ammonisce prima di aprire la ‘pagina’ dedicata ai sindacati che richiama alla responsabilità.
Al centro infatti la dura partita dei rinnovi contrattuali che Cgil Cisl e Uil e Confindustria stanno giocando da tempo senza esclusioni di colpi; su alcune partite importanti, infatti, dagli alimentaristi ai metalmeccanici, e distanze al momento sembrano profonde.
E sulle regole con cui definire i nuovi contratti Bonomi richiama la validità del sistema condiviso da sindacati e Confindustria con la firma del Patto della fabbrica che ha fissato principi chiari sulla rappresentanza e sul calcolo dei salari: “se proprio c’è qualcuno che vuole fare il furbo è chi quelle regole due anni fa le ha firmate e oggi si inventa polemiche perché non vuole rispettarle”, rilancia respingendo però le accuse di voler di fatto un blocco dei rinnovi contrattuali. “Se queste regole non vanno più bene allora ridiscutiamole”.
Ma il blocco dei contratti, si difende, “non lo vuole nessuno e mi sembra improprio essere considerati nemici dei contratti se quello sulla sanità si è chiuso in 14 settimane dalla mia nomina, mentre i sindacati dicono che mancava da 14 anni”, rivendica. E spiega: “non discutiamo della libertà delle imprese di sottoscrivere i contratti che vogliono, come sta avvenendo nell’alimentare, ma non possiamo immaginare che accordi stipulati in violazione alle regole sottoscritte due anni fa possono ricadere a cascata su tutti i nuovi contratti metterebbero in enorme difficoltà tantissime imprese a minori margini soprattutto le piccole”.