Osteoporosi sottovalutata: mancata diagnosi per il 50% dei pazienti che subisce una frattura. Solo il 25% è trattato adeguatamente
In Italia sono 4,5 milioni le persone affette da osteoporosi, per i due terzi donne. La fragilità ossea, caratteristica della patologia, è causa ogni anno di 90mila fratture a carico del femore, che colpiscono gli over 50, mentre oltre il 20% degli ultra 65enni di entrambi i sessi è interessato da fratture vertebrali. Complicanze che si associano a perdita di autonomia e aumento del rischio di ospedalizzazione e mortalità, con altissimi costi sanitari e sociali. Malgrado gli sforzi fatti in materia di prevenzione, l’osteoporosi resta una patologia sottodiagnosticata e sottotrattata. A richiamare l’attenzione sul tema sono stati gli esperti riuniti nell’XI edizione dell’Osteoday, l’evento scientifico annuale dedicato all’osteoporosi e altre patologie ossee, svoltosi a Parma il 5 e 6 aprile, che ha riunito oltre 100 specialisti tra ortopedici, fisiatri, reumatologi, internisti. La due giorni parmense è stata realizzata con il patrocinio dell’Università di Parma e il contributo incondizionato di Chiesi Italia, la filiale italiana del Gruppo Chiesi.
“Ad oggi, solo il 50% delle fratture da osteoporosi viene diagnosticato e la percentuale si dimezza se guardiamo ai pazienti che vengono trattati adeguatamente”, spiega Bruno Frediani, professore ordinario di Reumatologia all’Università di Siena e responsabile scientifico dell’evento. “Quando un paziente arriva al Pronto Soccorso con una frattura del femore, ad esempio, dovrebbe essere sempre eseguita una radiografia della colonna, in quanto, nel 10-15% dei casi, la frattura del femore si accompagna a una frattura vertebrale asintomatica che conferma la presenza di osteoporosi. Inoltre, nel caso dei soggetti a rischio – in un caso su due le fratture vertebrali sono silenti – lo specialista dovrebbe prescrivere almeno una volta all’anno esami diagnostici come la MOC (mineralometria ossea computerizzata) e la radiografia della colonna”. “Alla diagnosi tardiva – aggiunge – si affianca un trattamento spesso inappropriato che in molti casi si basa sull’assunzione della sola Vitamina D, nonostante sia stata dimostrata la sua efficacia soltanto in associazione con farmaci antifratturativi, bifosfonati in prima linea, il cui utilizzo invece risulta in calo a causa di ingiustificati allarmismi”.
Se l’età costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di osteoporosi, che colpisce in particolar modo le donne sopra i 60 anni e gli uomini oltre i 70, la patologia si presenta spesso come conseguenza secondaria di altre condizioni patologiche e dell’assunzione di farmaci. Ad essere particolarmente a rischio sono anche i pazienti con malattie reumatiche infiammatorie come l’artrite ma anche quelli affetti da osteoartrosi (altro tema al centro del convegno).
“Evidenze scientifiche dimostrano che la ridotta massa ossea favorisce la progressione del danno cartilagineo a livello articolare tipico dell’artrosi. A ciò si aggiungono le alterazioni legate all’edema osseo – una condizione molto dolorosa caratterizzata dall’accumulo di cellule infiammatorie all’interno dell’osso – che aggravano ulteriormente la distruzione della cartilagine articolare. Pertanto, il trattamento con farmaci antifratturativi, oltre ad aumentare la massa ossea, è efficace nella cura dell’edema osseo e, di conseguenza, dell’osteoartrosi”, conclude il prof. Frediani.
“Il supporto alla formazione della classe medica è da sempre una parte rilevante del nostro impegno e della nostra collaborazione con la comunità scientifica”, commenta Raffaello Innocenti, Direttore Generale di Chiesi Italia, filiale italiana del Gruppo Chiesi. “L’elemento di novità di questa iniziativa, che sosteniamo da oltre dieci anni, è quello di mettere a confronto i diversi professionisti coinvolti nella gestione delle osteopenie, dando loro la possibilità di andare oltre l’aggiornamento scientifico, partecipando a laboratori pratici che, secondo un approccio ‘real life’, affrontano le differenti situazioni che si presentano nella pratica clinica quotidiana”.