Coronavirus: l’anno nero di lusso e moda, virus brucia 45% di fatturato nel 2020 

Negozi chiusi, vetrine svuotate, turismo cancellato. Il coronavirus manda al tappeto anche il settore del lusso e della moda, con numeri che, entro la fine dell'anno, si preparano a far tremare i polsi agli addetti ai lavori. Se è vero che...

Negozi chiusi, vetrine svuotate, turismo cancellato. Il coronavirus manda al tappeto anche il settore del lusso e della moda, con numeri che, entro la fine dell’anno, si preparano a far tremare i polsi agli addetti ai lavori. Se è vero che la riapertura dei negozi dopo il lockdown, unito all’allentamento delle misure restrittive durante l’estate, ha rimesso in ordine i conti del fashion per il terzo trimestre, la seconda ondata della pandemia e la conseguente serrata dei negozi nelle zone rosse, l’industria rischia di lasciare sul terreno almeno il 45% del fatturato. 

“Entro la fine dell’anno, per il mercato globale del lusso, stimiamo una perdita tra il -25% nello scenario migliore e il -45% in quello peggiore – spiega all’Adnkronos Guia Ricci, principal di Boston Consulting Group (Bcg) -. Nel Q3 abbiamo avuto un miglioramento e ci stavamo avvicinando a una visione positiva ma con la nuova ondata di Covid ci riavvicineremo al worst case scenario, perché con il lockdown non uniforme tra i vari Paesi è probabile che raggiungeremo quel 45% che era nelle nostre previsioni”.  

Mentre la prima ondata della pandemia ha colto tutti i brand alla sprovvista, in questo momento la maggior parte delle aziende è preparata e sa come reagire. “Questo permetterà di comportarsi in maniera più ordinata e chiara rispetto alla prima ondata – osserva Ricci – quando le aziende hanno registrato perdite molto più significative e strutturali”. Va sottolineato però che mentre il mercato cinese che sta andando molto bene e continua a crescere, con numeri positivi rispetto al 2019, con una crescita stimata “attorno al 10%, considerando anche l’effetto del rimpatrio degli acquisti di lusso a livello locale” sottolinea l’analista, in Italia, lo scenario appare più cupo rispetto ai numeri globali. 

“Siamo vicino al -50% – rimarca Ricci – perché, oltre alle complicazioni legate al Covid, mancano i turisti, prevalentemente cinesi, che sono tra i drivers fondamentali del lusso nel Belpaese. Venezia e Firenze stanno soffrendo in modo particolare, così come Milano, soprattutto nella zona centrale del lusso, tra il Duomo e il quadrilatero della moda, dove il turismo internazionale è parte fondante”. Per il 2020-2021, rispetto al 2019, “ci aspettiamo numeri ancora negativi a livello globale tra il -20% e lo zero – puntualizza Ricci -. Sono numeri in evoluzione e in divenire, vedremo con il tempo quale sarà l’andamento della pandemia”.  

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Stefano Vittucci, partner EY e responsabile Consumer Products and Retail in Italia: “Nello scenario che avevamo previsto, prima della seconda ondata di coronavirus, con restrizioni fino ad agosto – spiega – stimavamo un impatto della pandemia sul settore del fashion e del lusso in termini di fatturato pari al 27% nello scenario base e del 35% nello scenario più grave (dove le restrizioni erano previste fino ad agosto). Dagli ultimi dati l’impatto potrebbe essere anche peggiore con decremento dei ricavi compreso tra il 35 e il 40%”. 

Oltre al fatturato, l’onda Covid travolge anche i livelli occupazionali e soprattutto il retail. “L’e-commerce, in questi mesi, ha garantito la sussistenza di un certo giro di affari per le aziende, soprattutto per quelle che erano già presenti su questo canale – rimarca Vittucci -. L’occupazione del retail, però, è stata assolutamente impattata dalle chiusure e subirà anche l’effetto di un cambiamento di modello operativo che ormai si sta imponendo anche a seguito dell’incremento repentino dell’uso degli strumenti digitali e dell’on-line”. 

Dal campione di aziende oggetto delle analisi di EY, che conta circa 300mila addetti, in parallelo al decremento di fatturato, “avevamo stimato un aumento della disoccupazione tra il 30% nello scenario base e il 38% in quello più grave – rimarca Vittucci -. Questa stima verrà certamente influenzata però dalle ulteriori restrizioni derivanti dalla seconda ondata del Covid, già partite con le chiusure nel weekend e poi aggravate dal secondo lockdown”.  

I negozi, infatti, resteranno chiusi almeno fino ai primi di dicembre in quasi tutta Europa mentre in Italia aperture e chiusure variano a seconda della zona: chiusi nella rossa, aperti in quella arancione e gialla. “Ora la domanda vera è capire quanto durerà il lockdown e se le restrizioni si fermeranno il 3 dicembre – ragiona Vittucci -. Con il Natale alle porte si potrebbero recuperare parte dei risultati attesi, al contrario un prolungamento delle limitazioni potrebbe far venir meno molti dei volumi che questa stagione genera con danni più gravi soprattutto su alcune fasce di prodotto come ad esempio quelle non premium. Inoltre, anche la propensione al consumo potrebbe essere negativamente impattata dalla preoccupazione e dall’incertezza generale seppur in una condizione di riapertura”.  

Anche Vittucci, come Ricci, non ha dubbi sul fatto che i Paesi che potrebbero subire una contrazione maggiore sono quelli occidentali europei. “La Cina vede ora un maggior controllo della pandemia e questa potrebbe essere una buona notizia anche per il Made in Italy, che ha un’esposizione importante nei confronti dei Paesi asiatici – osserva l’analista -. Questo potrebbe essere un effetto positivo in parte compensativo ma non risolutivo per il trend delle vendite”.  

Per far fronte alla pandemia, intanto, e frenare l’emorragia delle perdite, i brand stanno mettendo a punto diverse strategie. “La sospensione delle attività nel retail, che ha sempre rivestito un ruolo chiave nelle vendite, ha avuto un impatto significativo sulle strategie delle società – osserva Maria Luigi Franceschelli, senior associate del dipartimento di Ip specializzata in Luxury and Fashion di Hogan Lovells -. I brand si sono affidati a mezzi e media prima forse trascurati per promuovere e vendere più facilmente i prodotti. Non solo tramite il digital marketing, ma anche ricorrendo a mezzi e media alternativi. Come la partecipazione a film, utilizzando il product placement (ad esempio su Netflix). Ecco lo sviluppo di videogiochi, facendo breccia nel settore del gaming o l’utilizzo della realtà virtuale. E ancora, l’uso dell’intelligenza artificiale per creare dei tool che permettono di provare virtualmente i vestiti. Molte case di moda, inoltre, hanno stretto collaborazioni con social network come TikTok e con i relativi influencer. I brand stanno cercando di riadattarsi e reinventarsi”. 

Uno dei trend più ricorrenti è lo sfruttamento delle piattaforme: “Chi non aveva un e-commerce, e anche chi lo usava già, – spiega Franceschelli – si affida sempre di più a questo mezzo per vendere prodotti. Un altro fenomeno riguarda poi le griffe che in questo periodo puntano sui loro ‘friends of the house’ o best clients: nell’impossibilità di accoglierli in massa nei negozi offrono esperienze mirate come lo shopping individuale e personalizzato, puntando sulla fidelizzazione dei clienti. Le maison sono molto determinate nel non far spegnere quel sogno tipico della moda, anche in questi tempi”. 

Che 2021 sarà, quindi, per il lusso? “Se la pandemia si ridurrà o cesserà – ipotizza Franceschelli – vedremo un incremento dell’uso dello strumento digitale che verrà sempre più affiancato al marketing tradizionale, anche per raggiungere una fetta di mercato che prima era marginale. Ci aspettiamo inoltre che il mondo della moda e del lusso, coniugando tradizione e innovazione, diventino protagonisti dello sviluppo tecnologico, irrompendo così anche in quei settori vicini che sono stati scoperti in questa fase”. (di Federica Mochi) 

 

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