“Sono 19 anni che ci stanno massacrando, di menzogne, ancora non riusciamo ad ottenere una revisione del processo. Io sono stato condannato per falso ideologico, oltre a un risarcimento economico che ancora sto pagando, perché ho semplicemente siglato un verbale di arresto, come si faceva all’epoca, ho apposto una sigla come operatore perché un mio collega era stato accoltellato (Massimo Nocera ndr). Non ne posso più. Da persona informata sui fatti, sono stato chiuso in una stanza e ho subito un interrogatorio all’americana. In quel momento capii che ero finito. Hanno calpestato ogni mio diritto”. Inizia così il duro sfogo all’Adnkronos di Maurizio Panzieri, detto ‘Robocop’, oggi 66 anni e all’epoca del G8 (iniziato il 19 luglio del 2001) istruttore presso il VII Nucleo di Roma, aggregato dalla Scuola della Polizia di Stato di Caserta, assolto in primo grado, ma condannato in Appello (sentenza confermata in Cassazione) per i fatti della Diaz. Panzieri, nel corso del lungo iter giudiziario, ha sempre lamentato diverse violazioni del diritto della difesa, sancito dalla Costituzione e si sente capro espiatorio di un processo che non ha mai visto imputati e che quindi ha lasciato impuniti, i responsabili di quel barbaro pestaggio.
“Ci hanno messo in mezzo, nemmeno un contraddittorio c’è stato – prosegue – volevano distruggere i vertici della polizia, qualcuno doveva pagare e quel qualcuno siamo stati noi, anche se innocenti. Mi dispiace ma non ci sto. Là dentro qualcuno ha sbagliato e anche di grosso. Ma non io. In 35 anni da istruttore ho sempre insegnato ai miei che mai bisognava colpire per uccidere o far male, ma solo per annientare un attacco”. ‘Robocop’, a distanza di 19 anni, non ha dubbi. “E’ stato un problema politico, di ideologie, nulla a che vedere con l’aborto successo lì dentro. Ci sono i filmati che testimoniamo come il VII Nucleo sia arrivato ben 25 minuti dopo le perquisizioni del Diaz. Perchè non è stato analizzato il Dna sui manganelli e perchè non li hanno analizzati tutti? Dove sono le prove della nostra colpevolezza?”.
“Voglio giustizia – continua – questo è accanimento. Non metto in dubbio che al processo tutti abbiano fatto il proprio lavoro, ma qualcuno non lo ha fatto come avrebbe dovuto. Non si condanna una persona senza prove. La Corte Europea ha più volte ribadito che noi non dobbiamo pagare i danni d’immagine ed è stato fatto ricorso anche su questo. Ormai sono senza parole”.
Panzieri, in lacrime, ha raccontato anche di suo padre. “Un poliziotto onesto anche lui, come me. Avrei voluto che, prima di morire, mi fosse stata data giustizia, che mi avessero assolto perchè io non ho fatto nulla. Lo avrei reso felice prima di andarsene, ma devo convivere anche con questo dolore”, conclude.