Long Covid, Lancet: “1 su 10 smette di lavorare, condizione va presa sul serio”

(Adnkronos) – Era l’11 marzo 2020 quando il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dichiarava Covid-19 una pandemia. In quei giorni lo tsunami si stava alzando per poi abbattersi con tutta la sua violenza sul mondo. Sono passati 3 anni e, ora che l’onda si è ritirata, i ‘fantasmi’ di una pandemia che tutti vorrebbero lasciarsi alle spalle sono circa 65 milioni di persone strette nella morsa del Long Covid, imprigionate in un infinito 2020. Il tampone negativo ha decretato che il virus li ha lasciati, eppure è sempre con loro e li obbliga a una vita in bianco e nero, vago ricordo di quella di prima. Su questo esercito silenzioso la rivista ‘The Lancet’, una delle bibbie della comunità scientifica, accende i riflettori con un editoriale: ‘Covid lungo: 3 anni dopo’. Il messaggio è chiaro: “Il Long Covid viene spesso facilmente liquidato come una condizione psicosomatica. Dato ciò che ora sappiamo sui suoi effetti e sulle sue basi biologiche, deve essere preso sul serio”. 

I volti del Long Covid sono donne, uomini, anche bambini. Affaticamento, mancanza di respiro, nebbia cerebrale e disfunzioni cognitive sono alcuni dei sintomi che li accompagnano nelle loro giornate. E’ “una condizione multisistemica post-infezione debilitante”, ricorda Lancet, che “compromette le capacità di svolgere attività quotidiane per diversi mesi o anni. Sebbene la maggior parte dei pazienti infettati da Sars-CoV-2 guarisca entro poche settimane, si stima che il Long Covid si verifichi nel 10-20% dei casi e colpisca persone di tutte le età, compresi i bambini, con la maggior parte dei casi che si verificano in pazienti con malattia acuta di tipo lieve. La conseguenza è un diffuso danno globale alla salute, al benessere e ai mezzi stessi di sussistenza delle persone. Si stima infatti che una persona su 10 che sviluppano Long Covid smetta di lavorare, con conseguenti ingenti perdite economiche”.  

Nel 2021, si legge nell’editoriale, “abbiamo chiesto un programma coordinato di ricerca e assistenza sanitaria per affrontare questa nuova sfida medica. Tuttavia, i progressi sono stati terribilmente lenti a causa della mancanza di attenzione e risorse”. 

“Alcuni progressi sono stati compiuti nella nostra comprensione della natura multiforme ed eterogenea” di questa condizione. In un commento su ‘The Lancet Infectious Diseases’, gli scienziati Akiko Iwasaki e David Putrino considerano le possibili cause, tra cui la persistenza virale, l’autoimmunità innescata dall’infezione, la riattivazione di virus latenti e i cambiamenti cronici innescati dall’infiammazione che portano a danni agli organi, fattori che potrebbero spiegare i diversi fenotipi dei pazienti Long Covid. 

Come si sta intervenendo? Sono in fase di sperimentazione diversi candidati trattamenti, basati su sintomi e meccanismi biologici diversi. Il nodo – si spiega nell’editoriale – è che “molti pazienti faticano a ottenere una diagnosi definitiva”, per via della sintomatologia diversificata del Long Covid, del fatto che si debba dipendere da quanto viene auto-riportato dalle persone, della mancanza di test diagnostici e di una definizione di consenso. “Su scala globale, il Long Covid non ha ricevuto l’attenzione che merita e c’è una generale mancanza di consapevolezza pubblica”, denuncia Lancet.  

In molte realtà i dati sono assenti, specialmente nei Paesi a basso e medio reddito. Dove invece gli studi sono stati condotti – come in India, Cina e Sudafrica – il Long Covid è stato rilevato. Da qui l’appello: “Un’agenda di ricerca multidisciplinare coordinata a livello globale, che riunisca governi, organizzazioni non governative e società civile, è essenziale per migliorare la nostra comprensione della causa e della patogenesi, della diagnosi clinica, dei trattamenti, dei fattori di rischio e della prevenzione del Long Covid. Solo nel dicembre 2022 gli Stati Uniti e la Commissione europea hanno tenuto una conferenza per promuovere la cooperazione internazionale” su questo fronte. 

Nell’agosto 2022 gli Usa hanno istituito il Piano d’azione nazionale per la ricerca sul Long Covid, che ha portato i National Institutes of Health (Nih) a stanziare 1,15 miliardi di dollari per il progetto ‘Recover’ (Researching Covid to Enhance Recovery). L’Ue deve ancora definire un’agenda di ricerca per il Long Covid e la rete di associazioni di pazienti Long Covid Europe chiede 500 milioni di euro in fondi di emergenza Ue per la ricerca.  

Senza trattamenti specifici, osserva Lancet, “l’attenzione deve ricadere sulla prevenzione, mantenendo bassi i casi di Covid e garantendo la vaccinazione, e sull’assistenza multidisciplinare incentrata sul paziente”. I pazienti, molti con multipatologie complesse, necessitano di supporto multisettoriale “fisico, cognitivo, sociale e occupazionale”, elencano gli autori dell’editoriale. “Le prospettive per tali cure sembrano solo essere peggiorate. L’assistenza primaria ha sofferto in molti Paesi, le liste d’attesa si sono allungate e i sistemi sanitari sono in difficoltà”. L’educazione e la consapevolezza sulla gestione clinica del Long Covid nelle cure primarie rimane insufficiente e le disuguaglianze nell’assistenza continuano. In molti contesti sono ancora assenti piattaforme affidabili e autorevoli per supportare e guidare i pazienti.  

“I ritardi nelle cure e nel sostegno a chi si misura quotidianamente con le sequele post-virus prolungano ed esacerbano i sintomi del Long Covid”, ammonisce Lancet. I mesi della crisi acuta della pandemia di Covid “hanno motivato una risposta senza precedenti da parte di governi, organizzazioni internazionali, aziende farmaceutiche e società civile – conclude la rivista scientifica – Il Long Covid non ha ricevuto neanche lontanamente lo stesso livello di attenzione o risorse: il risultato è stato un danno diffuso alla salute, alle società e alle economie. Dopo 3 anni, ne servono diversi altri” per arrivare a riconoscere, trattare e supportare adeguatamente i pazienti. 

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