Le malattie della vista, comportando una minore autosufficienza e un maggior isolamento, hanno un notevole impatto sociale
Nel mondo occidentale la maggior parte della popolazione “over 65” è in buona salute, configurandosi, spesso, come una potenziale risorsa per la comunità. Tuttavia l’allungamento della vita non corrisponde sempre ad un reale mantenimento della sua qualità.
La Degenerazione Maculare Legata all’Età (DMLE) è una patologia legata all’invecchiamento ed è la principale causa di riduzione visiva nei soggetti con età superiore ai 65 anni. In Italia colpisce circa 1 milione di persone (tra diagnosticate e non).
E’ un’affezione cronica a carattere degenerativo e progressivo, che interessa la macula, la porzione centrale della retina deputata alla visione distinta. Esistono due forme della patologia, quella secca e quella umida o essudativa. Quest’ultima (10-15% dei casi) determina un rapido e progressivo calo visivo, associato a distorsione della visione centrale ed è la principale causa, nei Paesi sviluppati, di perdita visiva irreversibile.
In Italia, ogni anno si registrano circa 50.000 nuovi casi di DMLE essudativa. La prevalenza della DMLE è rara prima dei 55 anni, ma la sua incidenza aumenta soprattutto dopo i 75 anni. Secondo alcune stime la patologia colpisce il 20% degli ultracinquantenni (1 persona su 5) e, in particolare, il 35% (1 persona su 3) degli ultrasettantenni.
Alla luce dei dati epidemiologici, la DMLE può essere considerata una malattia di grave rilevanza socio-sanitaria. Nelle forme moderate e gravi, con profonda riduzione visiva, i pazienti subiscono un peggioramento della qualità della vita del 60%.
Questa è una conseguenza delle gravi limitazioni delle normali attività della vita quotidiana, come leggere o guidare o della capacità di occuparsi di sé, che la malattia comporta. Senza considerare che la perdita visiva associata a DMLE aumenta il rischio di cadute e fratture, con la conseguente necessità di una frequente assistenza medica riabilitativa.
La diagnosi tempestiva, attraverso visite oculistiche da effettuare con regolarità dopo i 55 anni, è di fondamentale importanza, perché permette allo specialista di orientare il paziente verso i trattamenti più adeguati. È opportuno ricordare che, se la patologia è curata in modo appropriato, la perdita visiva non solo può essere arrestata, ma può anche regredire.
Una semplice visita oculistica, tuttavia, non è sempre sufficiente per formulare una diagnosi corretta. Per confermare quest‘ultima e inquadrare la malattia sono, infatti, necessari alcuni esami strumentali; tali accertamenti sono la tomografia ottica a coerenza (OCT), l’angiografia con fluoresceina (o fluorangiografia), eventualmente anche con verde di indocianina.
Negli ultimi 20 anni il trattamento della DMLE essudativa ha registrato notevoli progressi, con la scoperta di farmaci ad azione mirata sul fattore di crescita dell’endotelio vascolare VEGF, somministrati attraverso iniezioni intravitreali. In patologia oculare è noto che il VEGF-A e il PGF (fattore di crescita placentare) sono coinvolti principalmente nell’induzione della neovascolarizzazione oculare.
L’attuale standard terapeutico per il trattamento della DMLE essudativa è pertanto la terapia anti-VEGF somministrata mediante iniezione intravitreale.
Inizialmente, i farmaci disponibili hanno dimostrato di prevenire la perdita visiva e di aumentare l’acuità visiva attraverso somministrazioni mensili, rappresentando però per il paziente un carico gravoso e scarsamente applicabile nella pratica clinica. Pertanto, si è avvertita la necessità di una terapia anti-VEGF, che coniugasse vantaggi ottimali in termini di acuità visiva con un regime posologico più funzionale nella vita di tutti i giorni.
Dopo gli anticorpi monoclonali, che hanno rappresentano la prima frontiera delle terapie per questa patologia, nel 2013 è arrivato sul mercato italiano una nuova molecola di Bayer: aflibercept. Si tratta di una proteina di fusione completamente umana, con un meccanismo d’azione che agisce “intrappolando” i fattori responsabili della crescita anomala dei vasi sanguigni all’interno della retina. Diversi studi hanno dimostrato che aflibercept ha nell’occhio una durata d’azione più lunga e una potenza maggiore rispetto agli altri anti VEGF, rendendo possibili somministrazioni meno frequenti.
Con aflibercept sono stati studiati approcci cosiddetti “proattivi” nei quali la somministrazione del farmaco avviene anche in assenza di attività della malattia, secondo uno schema fisso (ogni due mesi dopo una fase iniziale di 3 somministrazioni mensili), oppure secondo una modalità “Treat and Extend”, in cui dopo la fase fissa iniziale l’intervallo tra una iniezione e la successiva viene esteso o ridotto sulla base della risposta individuale del paziente.
Il regime T&E è un regime personalizzato, che ha come obiettivo la prevenzione della riattivazione della patologia. Il farmaco viene somministrato ad ogni visita programmata, indipendentemente dalla situazione anatomica o funzionale del paziente al momento della visita. L’acuità visiva e la situazione anatomica del paziente servono a determinare l’intervallo tra i trattamenti, con l’obiettivo di individuare per ciascun paziente l’intervallo massimo raggiungibile, senza che si verifichi alcuna recidiva.
Questo tipo di approccio permette di ridurre il numero delle visite e di eliminare i monitoraggi tra le iniezioni, rendendo più gestibile la patologia, contenendo l’utilizzo delle risorse e facilitando l’aderenza alla terapia del paziente. Sulla base degli studi VIEW e del recente studio ALTAIR, attualmente la label di aflibercept per il trattamento della DMLE essudativa prevede un’iniezione al mese per 3 mesi consecutivi e una quarta iniezione dopo un primo intervallo di due mesi; gli intervalli successivi possono essere mantenuti a due mesi o ulteriormente allungati di 2 o 4 settimane secondo il regime ‘Treat and Extend’. Se necessario, in base alle condizioni del paziente, è possibile ridurre l’intervallo tra le iniezioni.
Oltre alla Degenerazione Maculare Legata all’Età, aflibercept ha anche l’indicazione per l’Edema Maculare Diabetico (Diabetic Macular Edema:DME).
DME è una malattia che si verifica quando, nei pazienti diabetici, i vasi sanguigni nella retina riversano fluidi e proteine nella macula (zona centrale della retina), provocando un ispessimento della stessa, DME può insorgere in qualsiasi fase della retinopatia diabetica, complicanza che interessa globalmente almeno il 30% della popolazione diabetica.
DME si instaura solitamente sotto forma di ridotte aree edematose, che non interessano il centro della macula (la fovea), ma può progredire fino ad occupare aree più estese che compromettono o interessano questa regione. Pertanto, il rilevamento e il trattamento precoce delle varie forme di DME risultano essere di vitale importanza.
Fra i sintomi del DME vi sono: visione offuscata o distorta, percezione sbiadita dei colori, alterazioni nella sensibilità al contrasto, aree di cecità nella visione centrale. Nei casi di DME sospetto, l’OCT (tomografia ottica a radiazione coerente) è il test diagnostico più appropriato per una corretta valutazione e quantificazione della patologia.
Essendo la principale causa della perdita della vista nei soggetti con diabete di tipo 1 e 2, DME può avere un notevole impatto negativo sulla qualità della vita e sulla capacità di svolgere le attività quotidiane. I dati sulla prevalenza del DME possono variare fortemente. Alcune stime suggeriscono che nel 2010 circa 21 milioni di persone al mondo soffrivano di DME e questa prevalenza aumenterà fino a raggiungere i 33 milioni entro il 2030. La Federazione Internazionale del diabete ha dichiarato che fra i pazienti affetti da diabete in Europa, circa l’11% sviluppa DME e l’1-3% soffre di significativa perdita della vista come conseguenza di questa condizione.
E’ stato dimostrato che il fattore di crescita dell’endotelio vascolare o VEGF ha un ruolo centrale nella vasculopatia retinica che contribuisce alla fisiopatologia del DME. Un altro componente della famiglia del VEGF, il fattore di crescita placentare o PGF aumenta in modo proporzionale al grado di severità di questa malattia.
I paradigmi di trattamento del DME hanno avuto una rapida evoluzione in anni recenti. Anche se la fotocoagulazione laser a griglia maculare o focale è stata ampiamente raccomandata come standard terapeutico fin dagli anni ’80, questo approccio è generalmente efficace nello stabilizzare la vista, non nel migliorarla. Le Linee Guida di EURETINA (la Società Europea degli specialisti di malattie della retina) oggi non considerano più il laser come gold standard, ma ne limitano l’utilizzo ad alcuni casi particolari.
L’uso di corticosteroidi per via intravitreale è diventato un’alternativa, con un favorevole rapporto costo-efficacia rispetto alla fotocoagulazione laser: tuttavia, questo approccio è limitato ad alcune categorie di soggetti e da possibili rilevanti eventi avversi, come cataratta e aumento della pressione intraoculare.
La classe terapeutica più utilizzata per il trattamento del DME è rappresentata dagli inibitori del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), o anti-VEGF.
Studi clinici con anti-VEGF hanno dimostrato miglioramenti significativi dell’acuità visiva in pazienti con DME rispetto alla fotocoagulazione laser. Di conseguenza, i farmaci anti-VEGF sono entrati nell’armamentario terapeutico del DME. I farmaci anti-VEGF (tra i quali aflibercept) sono stati valutati in studi clinici su vasta scala. Questi studi, confermati dai dati desumibili dalla pratica quotidiana, hanno dimostrato miglioramenti visivi significativi, rispetto alla terapia con laser.
In particolare, l’efficacia e la sicurezza di aflibercept in confronto alla fotocoagulazione laser maculare sono state valutate in due ampi studi della durata di tre anni (VIVID-DME e VISTA-DME). La fotocoagulazione laser maculare è stata scelta come trattamento di confronto per entrambi gli studi, in quanto riconosciuta, all’epoca, come ‘gold standard’ di trattamento per il DME. Gli studi VIVID e VISTA hanno dimostrato che il trattamento con aflibercept determina un significativo e rapido incremento dell’acuità visiva, che si mantiene fino a 3 anni di osservazione.
Sulla base degli studi VIVID e VISTA la label di aflibercept per il trattamento della compromissione della vista secondaria a edema maculare diabetico prevede un’iniezione al mese per 5 mesi consecutivi e, successivamente, un’iniezione ogni due mesi; non è necessario alcun monitoraggio tra le iniezioni. Dopo il primo anno è possibile somministrare aflibercept in regime “Treat and Extend”.
Nel 2015, inoltre, è stato pubblicato uno studio indipendente, il Protocol T, che aveva come obiettivo quello di confrontare ad un anno l’efficacia di 3 farmaci ad azione anti-VEGF, aflibercept, bevacizumab e ranibizumab (0.3mg), nel trattamento di pazienti affetti da DME. Lo studio ha avuto il merito di evidenziare che nei pazienti con al baseline un’acuità visiva inferiore alle 69 lettere ETDRS (circa il 50% dell’intera popolazione arruolata nello studio), l’utilizzo di aflibercept ha permesso di guadagnare un numero di lettere superiore rispetto agli altri due farmaci.
Questo importante risultato è stato ripreso anche dalle Linee Guida EURETINA per la gestione del DME (Guidelines for the Management of Diabetic Macular Edema by the European Society of Retina Specialists –EURETINA) nelle quali infatti si afferma che aflibercept è il farmaco di scelta per il trattamento del DME in pazienti che al baseline presentano un visus inferiore alle 69 lettere.