Mediaset, ecco norma governo anti-scalata da parte di Vivendi  

Una norma 'anti-scalata' Vivendi, che sembra voler evitare -dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue che ha 'bocciato' la legge Gasparri - l'assalto dei francesi alla roccaforte italiana Mediaset. In queste ore, mentre si attende che il dl ristori bis...

Una norma ‘anti-scalata’ Vivendi, che sembra voler evitare -dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue che ha ‘bocciato’ la legge Gasparri – l’assalto dei francesi alla roccaforte italiana Mediaset. In queste ore, mentre si attende che il dl ristori bis approdi in Consiglio dei ministri, ci si interroga nel governo sulle sorti della misura, su cui, spiegano fonti autorevoli all’Adnkronos, c’è un accordo trasversale di maggioranza: tutti d’accordo sulla norma e sulla necessità di approvarla prima della sentenza del Tar, attesa il prossimo 16 dicembre.  

Per questo, la norma ‘anti-scalata’ potrebbe finire già oggi sul tavolo del Cdm, diventando un articolo del provvedimento che andrà a ‘ristorare’ le categorie più colpite dal nuovo Dpcm. Altra ipotesi sul tavolo, ma per il momento meno probabile, è che diventi un emendamento del governo al primo dl ristori, quello varato il 28 ottobre scorso e ora all’esame della commissione Affari costituzionali al Senato. 

“La norma che si propone – si legge nella relazione illustrativa del testo, visionato dall’Adnkronos – prevede che qualora un soggetto si trovi ad operare contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e nel Sic, anche attraverso partecipazioni azionarie rilevanti, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni svolga un’istruttoria, da concludersi entro il termine di sei mesi dall’avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo, tenendo conto, fra l’altro, dei ricavi, delle barriere all’ingresso nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti, ed adotti eventualmente i provvedimenti di cui all’articolo 43, comma 5 del decreto legislativo n. 177 del 2005”. 

In questo modo, anziché applicare le soglie che prevedono un automatismo “non idoneo di per sé solo, secondo il giudice europeo, a verificare in concreto il rischio di lesione del pluralismo, si prevede lo svolgimento di un’istruttoria finalizzata a questo scopo; solo all’esito di tale accertamento in concreto saranno eventualmente adottati dall’Agcom i rimedi di cui al comma 5, in modo da conformarsi alla sentenza della Corte Ue, nelle more della ridefinizione organica della disciplina”.  

Nel testo messo a punto dal governo, si fa un richiamo esplicito all’emergenza Covid che l’Italia sta fronteggiando, alle prese con la seconda ondata. “In considerazione delle difficoltà operative e gestionali dell’emergenza sanitaria in atto – si legge infatti nel testo dell’emendamento, che potrebbe diventare un articolo del dl ristori bis – nelle more dell’attuazione dei principi di cui alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 3 settembre 2020, C-719/18, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge e per i successivi sei mesi, nel caso in cui un soggetto operi contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e nel sistema integrato delle comunicazioni (SIC), anche attraverso partecipazioni azionarie rilevanti, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta ad avviare un’istruttoria, da concludersi entro il termine di sei mesi dalla data di avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni finalizzata a verificare l’eventuale sussistenza o il formarsi di posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo, tenendo conto, fra l’altro, dei ricavi, delle barriere all’ingresso nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti, ed adottare eventualmente i provvedimenti di cui all’articolo 43, comma 5 del decreto legislativo n. 177 del 2005 per inibire l’operazione o rimuoverne gli effetti”.  

NO ‘SALVA-BERLUSCONI’ MA TUTELA AZIENDE ITALIANE – L’accordo nel governo per approvare una misura che ‘passi la palla’ all’Agcom sarebbe unanime, ma c’è chi, soprattutto tra i 5 Stelle, teme che la norma anti-scalata possa esser letta come una mano tesa a Silvio Berlusconi. In realtà, assicurano fonti di governo all’Adnkronos, “è una misura che nasce per tutelare le aziende italiane, una sorta di golden power estesa alle telecomunicazioni, tanto più in una fase così critica per l’Italia che le nostre aziende rischiano di diventare facile preda di appetiti stranieri. Berlusconi o no, questo vale anche per il Biscione”. 

AGCOM ‘GUARDIANA’ – Secondo la bozza si intende affidare all’Agcom il ruolo di ‘guardiano’ del sistema italiano delle comunicazioni, che del resto già gli compete con le sue funzioni da garante della tv e delle tlc. La pronuncia della Corte europea dello scorso 3 settembre nasce dal ricorso fatto al Tar da parte di Vivendi proprio sulla delibera dell’Agcom che impediva al gruppo francese di far pesare di fatto l’intera sua quota in Mediaset nella gestione della società.  

Basandosi sulla legge Gasparri infatti l’Agcom nel 2017 aveva applicato l’articolo che nel Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici (il Tusmar) vietava al gruppo capitanato da Vincent Bollorè di mantenere tutte le sue quote contemporaneamente in Telecom Italia, di cui è il primo azionista col 23,9% del capitale, e in Mediaset (dove è il secondo con il 28,8% e il 29,9% dei diritti di voto). 

La norma voluta dal governo è da intendersi comunque in senso più ampio rispetto a quello di mettere di nuovo i bastoni fra le ruote a Vivendi nei confronti di una eventuale scalata a Mediaset. Visto che la legge non può essere retroattiva, e che nessuno può mettere in discussione la quota già acquisita da Vivendi nel gruppo di Cologno, è infatti assai difficile che il gruppo anche se fosse interessato ad acquisire il controllo dell’intera società rastrelli azioni o lanci un’opa, come fanno notare all’Adnkronos fonti finanziarie, su una società, ossia Mediaset, dove il principale azionista (la famiglia Berlusconi) non è intenzionata a vendere.  

In realtà dopo la pronuncia del tribunale europeo sulla querelle tra Vivendi e Mediaset (con quest’ultima che annunciava a questo punto di poter valutare anche un ruolo nelle tlc visto il dibattito sulla rete unica aperta alle imprese interessate) tra le due aziende sembrava essere iniziata una fase di dialogo. 

Prove di dialogo che tuttavia si è presto tramutato in stallo, come confermano le stesse fonti: al di là delle intenzioni espresse dal gruppo francese e le aperture al confronto da parte di Mediaset al momento non è alle viste alcun accordo industriale.  

Intanto si avvicina la data in cui il Tar del Lazio terrà l’udienza di merito sul ricorso di Vivendi contro l’ordinanza Agcom che ha imposto al gruppo francese il congelamento di gran parte dei suoi diritti di voto in Mediaset: la data è quella del 16 dicembre. Era stato lo stesso Tribunale amministrativo a rimandare il giudizio sulla conformità al diritto europeo della disposizione contestata da Vivendi alla decisione della Corte Ue. 

Lo scorso 23 settembre l’Agcom ha a sua volta rimandato proprio alla prossima pronuncia del Tar del Lazio “cui spetta dare attuazione – aveva scritto in una nota – alla pronuncia della Corte di Giustizia”. 

 

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