Negli Stati Uniti uno studio retrospettivo su oltre 20.000 pazienti con Fibrillazione Atriale non-valvolare conferma i benefici di rivaroxaban
Bayer AG e il suo partner di sviluppo Janssen Research & Development, LLC hanno presentato, in occasione del Congresso dell’American Heart Association (AHA) tenutosi il 10-12 novembre 2018, nuovi risultati di real life sulla riduzione significativa del numero di ictus nei pazienti con Fibrillazione Atriale non-valvolare (FANV) trattati con rivaroxaban, inibitore orale del Fattore Xa, rispetto ai pazienti in terapia con warfarin. Inoltre, nei soggetti in terapia con rivaroxaban è stata riscontrata una minor gravità dell’ictus e della mortalità associata ad ictus.
Lo studio di coorte retrospettivo ha utilizzato i dati di un database assicurativo-sanitario statunitense relativi a oltre 20.000 soggetti che hanno avviato una terapia con rivaroxaban o warfarin entro 30 giorni dalla prima diagnosi di Fibrillazione Atriale non-valvolare. La Fibrillazione Atriale è una patologia che, secondo le stime, colpisce 33,5 milioni di persone nel mondo ed è associata ad un aumento di cinque volte del rischio di ictus registrandone circa il 15-20% dei casi. Per la prevenzione di ictus in soggetti con Fibrillazione Atriale non-valvolare, le attuali Linee Guida raccomandano l’uso di terapia anticoagulante orale.
In questo studio i pazienti sono stati seguiti dall’inizio della terapia sino al termine dello studio stesso, determinando le diagnosi di ictus o decesso. Nei pazienti che hanno avuto un ictus i ricercatori ne hanno valutato la gravità e la mortalità entro 30 giorni.
Rivaroxaban ha ridotto complessivamente gli eventi di ictus del 37% (Hazard Ratio (HR)=0,63 Intervallo di Confidenza (IC) al 95% 0,53 – 0,76). Fra i soggetti che hanno avuto un ictus durante lo studio, quelli che erano in terapia con rivaroxaban hanno avuto ictus di minore gravità, rispetto ai soggetti in terapia con warfarin. Rivaroxaban è stato associato a una riduzione del rischio di ictus grave del 62% (HR=0,38 IC al 95% 0,16 – 0,90). Inoltre, nei soggetti in terapia con rivaroxaban è stato riscontrato un rischio di mortalità post-ictus entro 30 giorni significativamente inferiore rispetto al gruppo in terapia con warfarin. Nello specifico, rivaroxaban ha ridotto il rischio di mortalità post-ictus entro 30 giorni del 64% (HR=0,36 IC al 95% 0,19 – 0,67).
“Gli ictus causati da Fibrillazione Atriale tendono ad essere di maggior gravità e a comportare maggiori danni irreversibili, in termini di disabilità e mortalità, rispetto agli ictus per altre cause. Pertanto proteggere questi pazienti dall’ictus dovrebbe essere la principale priorità dei medici” – ha dichiarato Mark Alberts, membro dell’American Heart Association, Direttore della Neurologia, Dirigente Medico dell’Ayer Neuroscience Institute dell’Ospedale di Hartford – “Questo studio retrospettivo evidenzia che rivaroxaban ha comportato minori eventi di ictus rispetto a warfarin, ma quello che più colpisce sono le evidenze di vita reale dei benefici salvavita del farmaco e il numero significativamente inferiore di ictus gravi e invalidanti, sempre in confronto a warfarin“.
Lo Studio
Questo studio retrospettivo ha arruolato soggetti che hanno avviato la terapia con rivaroxaban (6.876 pazienti) o con warfarin (13.597 pazienti) entro 30 giorni dalla prima diagnosi di Fibrillazione Atriale non-valvolare (FANV) nel periodo compreso fra il 2011 e il 2017. I dati di questi soggetti provengono dal Database Optum Clinformatics®. I criteri di inclusione hanno compreso: punteggio CHA2DS2-VASc pari o superiore a 2 (ovvero rischio di ictus da moderato ad elevato), assenza di precedente ictus e nessuna terapia anticoagulante, per almeno sei mesi precedenti la diagnosi di Fibrillazione Atriale. Al basale i due gruppi presentavano caratteristiche, tra cui indice di comorbidità e punteggio CHA2DS2-VASc, simili. L’età media era rispettivamente di 73 e 76 anni e il follow-up medio rispettivamente di 23 e 29 mesi.
L’ictus è stato classificato, nel contesto ospedaliero, mediante i codici ICD-9 -10 e la mortalità post-ictus valutata entro 30 giorni. La gravità dell’ictus è stata definita utilizzando la Scala per l’Ictus del National Institute of Health, che fornisce una misura quantitativa del deficit neurologico associato all’ictus, e l’ictus grave identificato con un punteggio pari o superiore a 16.