A Rivaroxaban è dedicato un Simposio organizzato da Bayer all’interno del Congresso Conoscere e Curare il Cuore in corso a Firenze
Negli ultimi vent’anni l’incremento della popolazione anziana ha determinato un aumento delle patologie croniche, tra cui quelle del sistema cardio-vascolare.
In Italia, ad esempio, l’ictus è responsabile ogni anno del 10 – 12% di tutti i decessi, per questo motivo richiede un’importante gestione preventiva dei fattori di rischio, soprattutto in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, una frequente anomalia del ritmo cardiaco che ha una prevalenza stimata fra l’1% e il 2% della popolazione generale (ma ben il 10% degli ultra-ottantenni), ed è causa del 15-20% di tutti gli ictus trombo-embolici.
In presenza di Fibrillazione Atriale, per esercitare misure preventive adeguate, viene raccomandata una terapia anticoagulante valida.
L’utilizzo di una terapia anticoagulante alternativa a quella tradizionale (antagonisti della vitamina K – AVK), rappresentata dagli anticoagulanti ad azione diretta (DOAC – Direct Oral Anti Coagulant), viene considerata una tappa fondamentale nella prevenzione delle complicanze tromboemboliche della Fibrillazione Atriale, in accordo con le più recenti Linee Guida europee.
Rivaroxaban di Bayer è stato studiato in popolazioni di pazienti con diverse comorbidità, rischio tromboembolico ed emorragico, rispetto ad altri farmaci della medesima categoria terapeutica, dimostrando ugualmente un buon profilo di efficacia e sicurezza.
A «Rivaroxaban: protezione su misura per pazienti con malattie cardiovascolari» è dedicato un Simposio organizzato da Bayer all’interno del Congresso Conoscere e Curare il Cuore in corso a Firenze (28/02 – 3/03).
Nonostante i vantaggi introdotti dai nuovi anticoagulanti orali, ad oggi, si registra ancora un sottoutilizzo degli stessi, a discapito, soprattutto, di una corretta gestione dei pazienti complessi o cronici, il cui percorso terapeutico comporta un lavoro integrato tra diversi specialisti.
Eppure, l‘introduzione nella pratica clinica dei DOAC attualmente disponibili è stato preceduto da rigorosi studi Internazionali di confronto tra le singole molecole e gli antagonisti della vitamina K. Tali studi hanno dimostrato una pari o superiore efficacia preventiva dello stroke e degli eventi tromboembolici sistemici dei nuovi farmaci rispetto al warfarin (AVK), con minori effetti secondari emorragici e con particolare riguardo agli eventi maggiori (emorragie intracraniche e sanguinamenti fatali).
In particolare, nello studio registrativo di rivaroxaban, ROCKET AF, la popolazione anziana era ben rappresentata (il 44% aveva un’età uguale o superiore ai 75 anni), con un rischio tromboembolico ed emorragico più alto rispetto agli studi registrativi delle altre molecole. Il profilo di efficacia e sicurezza di rivaroxaban rispetto a warfarin è risultato essere consistente in tutti i sottogruppi di età. Risultati che sono stati confermati anche nella pratica clinica quotidiana in studi di real life su pazienti ancora più anziani (> uguale 80 anni). Alla luce di ciò, rivaroxaban si conferma un trattamento sicuro per la popolazione anziana, senza necessità di aggiustamenti di dosaggio.
Oltre a un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari, legati al ruolo riconosciuto della Fibrillazione Atriale come fattore di rischio, un paziente può presentare altre condizioni di «fragilità»: come l’insufficienza renale o malattie oncologiche.
Rispetto alla popolazione generale, i pazienti affetti da insufficienza renale cronica hanno un rischio maggiore sia di stroke che di sanguinamento: diventa, quindi, fondamentale una terapia anticoagulante in grado di proteggere da entrambi i rischi.
Grazie alle evidenze di un maggior beneficio clinico dei DOAC rispetto al warfarin in questo delicato setting di pazienti, l’impiego dei nuovi anticoagulanti nei pazienti con malattia renale cronica ha suscitato particolare interesse. Con opportune riduzioni di dosaggio, infatti, questi farmaci possono essere somministrati fino a valori di filtrato glomerulare (eGFR) pari a 30 ml/min/m2 arrivando anche per alcuni DOAC a 15 ml/min, con le opportune cautele.
“La calcificazione cardiovascolare è maggiormente presente in pazienti con insufficienza renale cronica – dichiara il Professor Andrea Ungar, Responsabile del Reparto di Geriatria dell’Ospedale Careggi di Firenze – Il trattamento anticoagulante con antagonisti della vitamina K (AVK) promuove questo processo e rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza dell’arteriolopatia calcifica uremica, più nota come calcifilassi. Evidenze scientifiche suggeriscono come il differente meccanismo d’azione degli anticoagulanti orali diretti anti Xa possa condurre ad una stabilizzazione o ad una regressione della calcificazione cardiovascolare. Un recente studio osservazionale ha infatti mostrato una riduzione significativa della deposizione e progressione della calcificazione valvolare (mitralica e aortica) associata all’uso di Rivaroxaban in pazienti con fibrillazione atriale e con insufficienza renale cronica moderata-avanzata.”
Al Congresso Conoscere e Curare il Cuore si è parlato di coronaropatia (coronary artery disease, CAD) ed arteriopatia periferica (peripheral artery disease, PAD), legate nella maggioranza dei casi a patologie vascolari aterosclerotiche. Ogni anno nel mondo, CAD e PAD causano la morte di circa 17,7 milioni di persone, corrispondente a circa il 31% di tutte le cause di morte.
Nonostante le attuali Linee Guida raccomandino l’impiego di antiaggreganti piastrinici per il trattamento di CAD e PAD, purtroppo questa terapia lascia esposti i pazienti ad una elevata percentuale di eventi cardiovascolari. Per questo motivo Bayer, mediante lo Studio Compass, ha indagato una nuova e più efficace terapia per il trattamento di CAD e PAD.
Nei pazienti affetti da CAD e PAD, rivaroxaban al dosaggio vascolare di 2,5 mg due volte al giorno associato ad aspirina 100 mg una volta/die, ha ridotto il rischio combinato di ictus, infarto del miocardio e morte per cause cardiovascolari del 24% rispetto ad aspirina 100 mg una volta/die in monoterapia.
La terapia combinata rivaroxaban/aspirina ha inoltre ridotto del 42%, 22% e 14%, rispettivamente il rischio relativo di ictus, mortalità per cause vascolari e di infarto, mostrando un buon profilo di sicurezza.
Un altro elemento significativo è che in pazienti affetti da PAD, con arteriopatie periferiche, si è avuta una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori a carico degli arti (-46%), e una riduzione imponente (-70%) delle amputazioni degli arti legate a cause vascolari.
Lo Studio è stato interrotto dopo un tempo medio di trattamento di 23 mesi, in anticipo sui tempi stabiliti, per manifesta superiorità della terapia combinata rivaroxaban/aspirina rispetto al braccio di confronto.