Terapie geniche, ecco come cambia la vita dei pazienti

Tommaso, italiano, e Sebastian, americano, fra i 90 trattati negli istituti Telethon

C’è Tommaso, tre anni, che prima non poteva stare a contatto con gli amichetti o nei luoghi chiusi, affollati. Grazie alla terapia genica può avere una vita normale, può frequentare gli altri bimbi e giocare con i cuginetti, che non aveva mai visto prima della cura. Oppure Sebastian, 16 anni, che dagli Stati Uniti si è venuto a curare in Italia e che negli ultimi anni ha fatto tante cose per la prima volta: ha visto dei film al cinema, ha nuotato in piscina, ha partecipato a diversi concerti, come quello di Jovanotti a San Francisco. Sono solo due delle numerose storie di piccoli o grandi pazienti che hanno ritrovato la speranza grazie agli impressionanti avanzamenti della medicina moderna.

Entrambi i bambini sono affetti da Ada-Scid, una rara patologia che appartiene al gruppo delle immunodeficienze severe combinate, malattie in cui il sistema immunitario è gravemente compromesso, al punto che l’organismo è incapace di difendersi dagli agenti infettivi. All’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano (SR-Tiget), i ricercatori a partire dal 2002 hanno dimostrato per la prima volta l’efficacia della terapia genica per la cura dell’Ada-Scid. Il protocollo terapeutico prevede il prelievo delle cellule staminali dal midollo osseo dei pazienti, la loro correzione in laboratorio tramite l’introduzione del vettore contenente il gene terapeutico e infine la reinfusione nell’organismo del paziente.
Oltre a Tommaso e Sebastian, sono oggi 29 (di cui 10 italiani) i pazienti trattati al SR-Tiget per Ada-Scid. Ma se prendiamo in considerazione anche le terapie messe a punto contro altre malattie (erogate sia nell’ambito di sperimentazioni cliniche sia in regime compassionevole, sia con farmaco registrato), “l’Istituto SR-Tiget di Milano ha preso in cura a oggi 84 persone, di cui 26 italiani: 30 per leucodistrofia metacromatica; 15 per sindrome di Wiskott-Aldrich; 9 per beta talassemia; uno per mucopolisaccaridosi di tipo 1, mentre l’istituto Telethon di Napoli (Tigem) ha trattato 5 pazienti per mucopolisaccaridosi di tipo 6”, racconta all’Adnkronos Salute Luigi Naldini, direttore dell’Istituto SR-Tiget di Milano.

La terapia genica non è più dunque una chimera, ma una realtà “per oltre un centinaio di pazienti italiani con malattie rare o tumori, che sono stati trattati nell’ambito di vari trial clinici nel nostro Paese: da noi per varie malattie genetiche, una decina a Modena per patologie della pelle, a Napoli pazienti con mucopolisaccaridosi, oltre ai bambini con leucemia linfoblastica acuta in cura a Monza e a Roma, e ad altri malati di linfoma”.

Secondo Naldini, “siamo solo all’inizio di una rivoluzione, l’impiego delle cellule geneticamente corrette come veicolo per la somministrazione della terapie sta cambiando il paradigma di trattamento di molte malattie, e a questo si affianca la crescente precisione delle tecniche di correzione genetica, come l’utilizzo di Crispr per l’editing del Dna. Con queste tecniche possiamo ora letteralmente ‘riscrivere’ la sequenza del Dna correggendo direttamente le mutazioni responsabili della malattia. E si può anche immaginare un domani di superare la natura altamente personalizzata di alcune di queste terapie”.

Se per ora le terapie sono infatti costruite ‘a misura di paziente’, utilizzando le sue stesse cellule opportunamente modificate, la direzione in cui la ricerca sta andando, fra le altre, è quella “di arrivare a una sorta di ‘cellula donatrice universale’ in grado di trasferire l’immunità contro certi tipi di tumore o patogeni, per dar vita a una procedura generale applicabile, appunto, a più di un singolo malato. E’ un progetto che ha già raggiunto le prime sperimentazioni cliniche, ad esempio c’è già stato un caso di terapia anti-leucemia con linfociti ingegnerizzati (Car-T) effettuata su una paziente che non aveva più cellule T, per cui sono state usate quelle di un altro individuo dopo apposite modifiche genetiche. C’è una prova clinica iniziale, dunque, ma la ricerca come si sa deve sviluppare metodi robusti”.

“Chi può sapere che cosa sarebbe successo se Sebastian non avesse ricevuto il trattamento con terapia genica – dice la mamma Lynette – molto probabilmente non sarebbe con noi oggi. Ora conduce una vita normale, come quella dei suoi coetanei. Gli piace passare il tempo con i suoi amici, suonare la chitarra e guardare video su Youtube”.

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