Trivulzio, “assenteismo anomalo nei giorni del Covid” 

Il Pio Albergo Trivulzio "metteva già in isolamento a fine febbraio alcuni casi con sintomatologia simil influenzale che, col senno di poi, riconosciamo probabilmente essere stati casi di coronavirus. Quindi erano presenti già allora. L'ipotesi è di un ingresso precoce dell'infezione...

Il Pio Albergo Trivulzio “metteva già in isolamento a fine febbraio alcuni casi con sintomatologia simil influenzale che, col senno di poi, riconosciamo probabilmente essere stati casi di coronavirus. Quindi erano presenti già allora. L’ipotesi è di un ingresso precoce dell’infezione dall’esterno, probabilmente attraverso gli operatori di assistenza o gli educatori, con poi una propagazione interna che ha raggiunto il suo massimo nella seconda metà del mese di marzo. Questa ipotesi è incompatibile rispetto a quella di un innesco partito da pazienti trasferiti durante l’emergenza Covid-19”. A farlo notare è Vittorio Demicheli, direttore sanitario dell’Ats Città Metropolitana di Milano, durante la presentazione a Palazzo Lombardia dell’esito dei lavori della Commissione di verifica sulla gestione dell’emergenza al Pat. “Il numero pazienti della seconda metà di marzo è incompatibile con questa ipotesi. C’era per forza già prima un contagio. E si capisce abbastanza bene”, ribadisce Demicheli, ricordando anche che il rapporto fra decessi osservati e attesi nella fase della pandemia, che ha mostrato un aumento di mortalità rispetto agli anni precedenti, “è risultato lievemente inferiore al Pat rispetto alla media rilevata nelle Rsa”.  

“Un elemento grave, importante, che emerge è l’assenteismo che si è verificato” tra il personale del Pio Albergo Trivulzio di Milano, che appare anomalo rispetto alla media delle altre strutture e spiegabile solo in piccola parte con ragioni di malattia. “Il dato che emerge dalla relazione è distonico e pone il problema di chi è il Pat, dell’identità”, ha quindi sottolineato il direttore generale Welfare della Regione Lombardia, Marco Trivelli. “E’ la partecipazione di chi lavora che fa la qualità e la differenza nella risposta a un’emergenza. Non bastano le regole. Se c’è stato un assenteismo del 60% è molto difficile che si potesse dare una risposta sostanziale a bisogni di assistenza così grandi” come quelli degli ospiti fragili di una Rsa, ragiona Trivelli facendo riferimento a un passaggio della relazione trasmessa dalla Commissione alla procura di Milano. 

Passaggio in cui si fa presente che “particolare criticità nella gestione dell’emergenza è stata apportata dal marcato assenteismo del personale di assistenza che ha assunto dimensioni molto superiori all’atteso e che, sommato alla contestuale momentanea difficoltà di reperire risorse suppletive, ha ridotto le presenze in servizio e limitato la possibilità di organizzare turni di personale dedicato in modo esclusivo ai vari nuclei”, si legge nella sintesi.  

Secondo i dati rilevati nella relazione, che parla di “livelli straordinari” di assenteismo su 900 operatori del Pat, la media delle assenze in tempi normali è del 30%. In emergenza Covid-19 è arrivata “al 57%, con picchi fino al 65% in alcune figure professionali (in particolare gli operatori sociosanitari che sono la parte più numerosa del personale)”, ha elencato Demicheli. “Solo una parte piccola di queste assenze può essere giustificata con la malattia, visto che solo il 9% erano le assenze per infortunio Covid segnalate all’Inail”.  

A chi fa presente che anche il grosso problema della carenza di protezioni, rilevato anche nella relazione, può aver avuto un peso, Demicheli non esclude questa possibilità. “Sicuramente la differenza di tutela spiega una parte del problema. La paura di prendere la malattia è una cosa che in quel momento avevamo tutti. Ci saranno molte giustificazioni. Ma la media dei comportamenti”, dell’assenteismo “del Pat è anomala rispetto alla media delle altre strutture”. L’esperto fa notare che in generale, indipendentemente dalla fase della pandemia, il Pat ha una media più alta di assenze.  

“Quando ero a Brescia”, nelle vesti di Dg, ha ricordato Trivelli, “qualche persona” nell’Asst “si è ritirata chiedendomi di poterlo fare. Non possiamo a tutti chiedere l’abnegazione di dedicarsi in modo diretto ai pazienti Covid e io avevo concesso questa possibilità di non essere in prima linea. Ma il dato di fondo è che gli operatori sanitari hanno risposto in modo generoso, deciso, creativo e il dato contenuto in questa relazione è distonico e pone problema di chi è il Pat, una struttura di tutti e di nessuno”. In quel momento, ha concluso Demicheli, al Pat “ci si è trovati davanti a muro molto alto di assenze e alla difficoltà di sostituirle”. 

Un “supporto sanitario” per le strutture come le Rsa “nell’ipotesi di un’eventuale ripresa di Covid-19” e un “welfare per gli operatori”, questi i due aspetti a cui serve dare risposta secondo il direttore generale Welfare della Regione Lombardia.  

“Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi – spiega Trivelli – alla luce dell’esperienza di queste settimane bisogna proseguire il percorso di revisione dell’assetto delle cure intermedie nel loro complesso, così come dobbiamo nelle prossime settimane rispondere al fatto che le Rsa, così come anche le strutture per disabili e altre tipologie, necessitano di un supporto sanitario che non è possibile affidare interamente come compito ad esse, ma in qualche modo devono essere supplite dalla rete sanitaria. Quindi dobbiamo in qualche modo riflettere, nell’ipotesi di una eventuale ripresa del Covid, su come organizzare questo supporto sanitario. Questo è il tema secondo me importante sul quale ci miglioreremo”. 

“Le Rsa – ragiona il Dg – non hanno una missione sanitaria, invece l’evoluzione dell’anzianità e della cronicità sono dei fattori che rendono necessaria l’evoluzione dell’organizzazione di fondo del tessuto della Rsa. Il personale prevalentemente non appartiene alle professioni sanitarie”, mentre “oggi i pazienti che ospitiamo hanno un fabbisogno sanitario importante”, fabbisogno che si è evoluto nel tempo in questo senso. Quindi “la caratterizzazione sanitaria di queste strutture, o quantomeno la necessità di un supporto sanitario, è un tema non di oggi, che deve essere assecondato sia a livello nazionale sia regionale”. 

Altro tema da affrontare per Trivelli è quello di un “welfare degli operatori”. E’ “importante pensare a un welfare degli operatori sanitari – sostiene il Dg Lombardia – Nella delibera della Regole 2020, documento che la Regione ogni anno propone, era previsto un percorso di formazione per il personale della Rsa. Il tipo di bisogno che hanno gli ospiti delle Rsa sta evolvendo e bisogna che il personale in qualche modo sia sempre più adeguato e possa crescere al pari dei bisogni espressi dagli ospiti”.  

“Occorre fare più che formazione però – precisa – Occorre fare un programma di welfare, perché la più grande risorsa del sistema sanitario sono i lavoratori e devono essere consapevoli della loro responsabilità nell’erogazione dei servizi e messi in condizione di potere operare”. 

“Ultimo dato – conclude – riguarda le risorse. E’ da tempo che il sociosanitario fa fatica a essere finanziato”.  

Sul presunto divieto di indossare mascherine, Demicheli spiega: “Noi abbiamo cercato di trovare un riscontro, qualora esistesse, delle affermazioni che via via ci venivano proposte” riguardo a quanto accaduto al Pio Albergo Trivulzio di Milano in fase di emergenza Covid-19. “Sul supposto divieto di trasferire le persone in pronto soccorso e il divieto per gli operatori di indossare mascherine, non abbiamo trovato riscontro documentale o nei numeri che abbiamo raccolto”. 

“Non è compito però di questa Commissione formulare alcun giudizio di responsabilità – precisa Demicheli – Copia di tutta la documentazione è già stata trasmessa alla procura della Repubblica che, se ravviserà elementi di responsabilità, deciderà di procedere. Io invito tutti ad aspettare e a respirare profondamente prima di sparare dei giudizi, ci mancherebbe altro che ci esponessimo noi per primi”.  

In particolare, continua Demicheli, “sull’ipotesi che vigesse un divieto di trasferire malati in pronto soccorso, troverete 14 trasferimenti a dimostrazione che durante l’emergenza le persone che si aggravavano e che potevano essere trasferite in pronto soccorso sono state trasferite”. Nella stessa sintesi della relazione della Commissione di verifica si legge che: “Per quanto riguarda il trasferimento di pazienti dal Pat verso il pronto soccorso è stata data indicazione ai medici di contattare preventivamente il pronto soccorso per verificare la disponibilità al ricovero”.  

E a chi gli chiede conto di mail e ordini di servizio che ci sarebbero stati, Demicheli risponde che, “nelle audizioni” fatte dalla Commissione, “molte persone hanno poi reinterpretato queste segnalazioni come delle incomprensioni. Sicuramente qualche tensione nei rapporti tra i vertici e la dirigenza si è verificata ed è abbastanza logico che succedesse in una situazione di emergenza. E’ stato scritto sicuramente di verificare che in ospedale lo prendano un malato prima di mandarlo, perché allora il rischio era di morire in una lettiga”.  

Quanto alla mancanza di trasparenza nelle comunicazioni, che è stato un altro dei punti rimproverati dai parenti al Pat, il direttore sanitario dell’Ats di Milano osserva che “non c’è dubbio che sia stato un aspetto critico, che ascriviamo però al difficile bilanciamento che durante un’emergenza di questo tipo bisogna fare. La modalità principale di comunicazione è stata affidata ai bollettini che sicuramente avevano il pregio di essere diffusi rapidamente e il difetto di essere molto sintetici. E chi cercava informazioni personalizzate sul singolo parente è incappato nelle difficoltà che abbiamo osservato. Essendo stati costretti a impedire l’accesso e le visite, è stata adottata la formula delle chiamate e videoconferenze, che però hanno avuto una disponibilità limitata in una struttura grande e con poco personale che poteva staccare per dedicarsi a questo”.  

 

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