“Una voce amica mi ha salvato dal buio del Covid”, storia di Margherita’ 

"Ho avuto momenti di panico, ho temuto per mio marito, mi sono sentita un'appestata, isolata dal mondo e lontana dai miei affetti. Ma ho avuto angeli intorno a me, vicini in un altro modo: c'era sempre una voce amica che mi...

“Ho avuto momenti di panico, ho temuto per mio marito, mi sono sentita un’appestata, isolata dal mondo e lontana dai miei affetti. Ma ho avuto angeli intorno a me, vicini in un altro modo: c’era sempre una voce amica che mi riportava alla realtà quando mi sentivo in un altro mondo, in un posto senza via d’uscita. E’ stata una guida nella tempesta”. A parlare è Margherita, 60 anni. Ha sperimentato Covid-19 sulla sua pelle e il marito Pierluigi, 66, è uno dei pazienti lombardi che è stato curato a casa, sotto ‘l’occhio’ del telemonitoraggio avviato da una delle cooperative di medici di famiglia che si sono attivate su questo fronte, Iml (Iniziativa medica lombarda).  

Una storia a lieto fine, nonostante momenti difficili. Margherita li racconta all’Adnkronos Salute e tiene subito a sottolineare: “Probabilmente non ci si rende conto. Mio marito che è stato colpito più gravemente di me dalla malattia ha avuto 18 giorni di febbre anche a 40 e una saturimetria che è scesa fino a 86. E’ stato tremendo. E’ vero che è giusto non ingolfare gli ospedali, ma ci si può riuscire solo se hai qualcuno che ti può seguire così come è successo a noi”.  

Tutto comincia con Margherita che sperimenta per prima la febbre altissima, dolori spaccaossa dappertutto, la perdita dell’olfatto e del gusto. Si isola subito ma anche il marito dopo qualche giorno comincia a stare male. Lei si rimette in piedi perché vuole occuparsi di Pierluigi che intanto si sente sempre peggio. “La stanchezza è difficile da descrivere, mio marito oggi è in ripresa, ma anche solo spostarsi da una stanza all’altra lo abbatte. Durante la malattia senti il peso dell’isolamento, nessuno può entrare”.  

E qui entra in gioco la macchina messa in piedi per monitorare i pazienti. Tecnologia, ma con l’anima. “Perché non basta un termometro o un saturimetro. La differenza la fanno certo le persone – dice la paziente – Un giorno mio marito è collassato. Era bianchissimo, debole. Il mio dottore è corso da noi, senza neanche il giubbotto. Ha indossato le protezioni necessarie e lo ha visitato. Ho sentito la sua vicinanza, un supporto pazzesco. Il resto lo hanno fatto quelle voci amiche che mi hanno accompagnato fuori dall’incubo. Ricevevo telefonate continue, comunicavo i parametri di mio marito e ricevevo consigli, potevo confrontarmi con una persona, sentirmi rassicurata”. 

“Tutti gli operatori che si sono alternati all’altro capo del telefono – continua – hanno avuto una pazienza e una dolcezza infinite. Quando qualche valore poteva essere preoccupante ricevevo prontamente la chiamata del dottore”. Margherita e Pierluigi ora hanno superato la parte più difficile, “anche se la ripresa è lentissima e mio marito dovrà fare una tac per valutare eventuali danni. Questo virus è un animale, siamo arrivati a tanto così dall’ospedale per lui. In quel momento la preghiera ci ha salvato. Quando stavo per gettare la spugna, ho avuto il supporto a distanza dei miei figli, che mi portavano la spesa davanti al portone. Ma sentirsi dire ‘forza, non mollare’ ha fatto la differenza. Mi sono fidata delle voci che mi hanno guidato”.  

Una di queste è la voce di Nancy Cremaschi, infermiera, case manager e referente del centro servizi. “Il nostro sistema funziona così – spiega – il medico individua il paziente che ha bisogno di telemonitoraggio. Può essere un sospetto caso di Covid-19, avere già un tampone positivo, essere stato dimesso dall’ospedale con l’indicazione di essere monitorato fino alla negativizzazione, oppure ancora un paziente anziano o fragile con malattie croniche, quindi a rischio”. 

Il medico stende un piano di monitoraggio a seconda delle caratteristiche del paziente e la frequenza dei contatti con la centrale varia da più volte al giorno a giorni alterni in una settimana. “Stiamo attenti a segni e sintomi, chiediamo i valori, che il paziente misura con i device che gli vengono messi a disposizione” come il saturimetro e la macchina per la pressione sanguigna, illustra Cremaschi. “Se gli operatori rilevano qualcosa di anomalo lo segnalano ai case manager. Noi risentiamo telefonicamente il paziente, se rileviamo qualcosa di rilevante lo diciamo al medico. Se necessario si chiama il 112. C’è anche l’App che può mandare alert, ma spesso, in particolare le persone con età più avanzata, preferiscono il contatto umano”. 

Il lavoro è tanto, “copriamo una fascia oraria dalle 8 alle 20, anche il sabato e la domenica. A ottobre abbiamo visto correre i numeri. Da giorni viaggiamo adesso al ritmo di 30 attivazioni di telemonitoraggi al giorno. Avvertiamo un lieve calo, ma vediamo interi nuclei familiari che si ammalano, uno dietro l’altro. Noi siamo a supporto del medico, rinforziamo il suo messaggio, il nostro contributo rasserena il paziente. A volte – assicura – basta veramente poco, ascoltarli quando sono spaventati. A volte invece è necessario verificare i parametri. Magari facciamo fare al paziente il ‘test del cammino’ per capire se va in affanno per dispnea”. Il ricordo di marzo per Nancy non è sbiadito. “La sera andavo a vedere dei pazienti che erano coscienti, pur respirando male e il giorno dopo non c’erano più. E’ stato drammatico”.  

Ora “c’è qualche terapia che si può fare tempestivamente, mi sembra che la malattia duri molto di più. C’è gente a casa da tre settimane, a volte si trascina a lungo una febbricola che sfinisce. Noi stiamo loro accanto, diamo consigli persino alimentari per spronarli. Ci presentiamo sempre per nome, se serve chiamiamo una volta in più. E quello che colpisce è che ringraziano. Sempre. E tu ti senti utile”. “Le cure a domicilio – conclude Fiorenzo Corti, medico di famiglia in prima linea con il telemonitoraggio dei suoi pazienti e vice segretario nazionale della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) – sono un aspetto di assoluta importanza se si vuole sviluppare l’organizzazione della medicina del territorio, i cui limiti sono stati purtroppo evidenziati dalla pandemia: devono saper coniugare il potenziamento del rapporto di fiducia del paziente col proprio medico di famiglia, l’uso della tecnologia e la diffusione dei modelli associativi della medicina generale”.  

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